20
Ago

Il Greco Bianco, un dono degli dei

Considerato un dono degli dei, il vino per i Greci, era collegato a Dioniso ed a lui, figlio immortale di Zeus, era attribuita l’introduzione della coltura della vite tra gli uomini.

Dall’VIII secolo a.C. in Calabria la vite, l’uva e la cultura del vino sono legati alla nascita ed allo sviluppo delle colonie della Magna Grecia; un rapporto reso evidente da notizie storiche e da innumerevoli testimonianze archeologiche. Pensiamo, ad esempio, ai  pinakes di Locri ed a quello che raffigura Dioniso con un lungo tralcio di vite sulle spalle, i grappoli d’uva che pendono e l’offerta alla dea Persefone di un vaso pieno di vino.
Ma ci sono anche i rinvenimenti che riguardano gli aspetti concreti e produttivi, è il caso dei palmenti rupestri, vasche scavate nell’arenaria, funzionali alla produzione del mosto che veniva successivamente ricoverato nelle anfore vinarie.

Molti palmenti sono stati individuati nell’area intorno alla colonia magno-greca di Locri Epizephirii e su alcuni di questi lo studio e l’analisi hanno consentito il rinvenimento di croci bizantine a testimonianza di un’attività che ha attraversato lo scorrere dei secoli. Sempre collegata a Locri è la legislazione di Zaleuco che impediva di bere vino puro, depositato in grandi contenitori di terracotta il vino arrivava sì in tavola ma solo dopo averlo mesciuto con miele o acqua.

Palmento

 

Proprio nella locride e da un glorioso passato nasce ancora oggi uno dei vitigni più antichi e misteriosi d’Italia, è il Greco di Bianco, un vino passito che richiama alla memoria le istruzioni che il poeta greco Esiodo fornisce ne “Le Opere e i giorni”.

“Quando poi Orione e Sirio sono giunti a mezzo del cielo, e l’Aurora dalle dita di rosa riesce a vedere Arturo, allora, o Perse, raccogli tutti i grappoli d’uva e portali a casa; esponili al sole per dieci giorni e dieci notti, quindi per cinque giorni lasciali all’ombra, ed al sesto versa nei recipienti il dono di Dioniso ricco di letizie”.

Le istruzioni sono precise, si vendemmia a settembre e si consiglia una precisa tecnica di vinificazione, si fa asciugare l’uva, si aumenta il contenuto zuccherino e, in buona sostanza, si produce un passito. Il Greco di Bianco, prodotto ancora oggi con modalità simili a quelle suggerite da Esiodo, è ottenuto con una varietà di uva coltivata sin dai tempi della Magna Grecia, quando veniva chiamata “aminea”, ovvero “non rossa”.

L’area di produzione attuale si snoda lungo la fascia del basso litorale ionico, tra i Comuni di Bianco e Casignana, per circa 14 km , spingendosi all’interno fino a raggiungere la quota massima di 210 metri s.l.m., in località Serro di Serrapata nel Comune di Bianco.

Le uve raccolte vengono poste su graticci al sole o in essiccatoi ad aria forzata, subendo un appassimento che può determinare, il relazione al contenuto zuccherino, una riduzione di peso fino al 35%. Al termine di questa operazione le uve vengono sottoposte a pigiatura e torchiatura con una resa massima dell’uva in vino finito e pronto per il consumo che non deve essere superiore al 45%. Il Greco di Bianco, considerato assieme al moscato di Siracusa il vino più antico d’Italia, ha un colore giallo ambrato derivato dagli alti livelli di sviluppo fenolico nelle uve surmature; caratterizzato da una consistenza succosa, ricca e vellutata, presenta un bouquet di profumi che ricorda i fiori d’arancio, gli agrumi e le note di erbe in sottofondo, che si accentuano con l’invecchiamento.

Mitologicamente al Greco di Bianco venivano attribuiti poteri rigeneranti al punto da farlo prescrivere agli imperatori romani come ricostituente nelle convalescenze, nelle malattie acute, negli esaurimenti nervosi.

Ma al di la di miti e leggende, come quella che racconta dei Locresi che in netta minoranza – nel VI a.C. – vinsero sui Crotoniati proprio grazie al vino che diede loro forza e coraggio, sta di fatto che oggi il Greco di Bianco ha fama di essere uno dei vini da dessert più eccezionali e rari d’Italia.