Giosafatte Talarico, il brigante (VIDEO)

“Tutta ‘a gente se l’ha da imparà, nun ce ne fotte dù Re Borbone la terra è nostra e nun s’ha da tuccà”.
E’ un passo della canzone del Brigante, parole che svelano con pochi accordi e qualche rima la strenua resistenza che nella prima metà del 1800 oppose un manipolo di “illegali” all’ordine (ri)costituito dei Borboni dopo il Congresso di Vienna. Nella poverissima Calabria i briganti divennero miti, le loro azioni cruente l’anelito di speranza di una classe contadina ridotta alla fame dai latifondisti.
Epica è la figura di Giosafatte Talarico, il brigante gentiluomo di Panettieri che ancor oggi vive nella memoria collettiva del suo paese e dei paesi vicini, come il vendicatore dei torti, il romantico difensore dei deboli.
Fu un brigante solitario e particolare: uccideva solo per vendetta o per ridare ai poveri quello che l’arroganza dei baroni aveva loro tolto. La sua abilità nel travestimento, la sua cultura e soprattutto l’accortezza di non legarsi per troppo tempo a bande numerose fecero di lui un imprendibile fantasma, una leggenda vivente!
Solo un patto con il monarca borbonico lo stanò dalle selve silane. Nel 1845 il re Ferdinando II propose a Giosafatte di arrendersi in cambio di una nuova e libera vita e così venne esiliato nell’isola di Ischia dove ebbe casa e stipendio. Giosafatte aveva allora 40 anni e altri 40 visse in completa tranquillità davanti al mare!
“I briganti difendevano, senza ragione e senza speranza, la libertà e la vita dei contadini, (…). Per loro sventura si trovarono ad essere inconsapevoli strumenti di quella Storia che si svolgeva fuori di loro, contro di loro; a difendere la causa cattiva, e furono sterminati. Ma, col brigantaggio, la civiltà contadina difendeva la propria natura, contro quell’altra civiltà che le sta contro e che, senza comprenderla, eternamente la assoggetta: perciò, istintivamente, i contadini vedono nei briganti i loro eroi.”
Carlo Levi (Cristo si è fermato a Eboli)